Emergenza vulcanica. E le ceneri?
Pochi sanno che, in passato, durante alcune eruzioni, le popolazioni vesuviane non scappavano ma restavano sul posto, soprattutto, per spalare via dai tetti delle proprie abitazioni le “ceneri vulcaniche” emesse dal Vesuvio, preservando così gli edifici dal crollo. Se questo non fosse stato fatto i centri urbani dell’area vesuviana (il Vesuvio è stato in attività eruttiva esterna dal 1631 al 1944) non sarebbero mai esistiti. Anche considerando gli scenari della futura eruzione nell’area flegrea, sarebbe stato, quindi, lecito attendersi una particolare attenzione su questo aspetto da parte della cosiddetta “pianificazione dell’emergenza vulcanica”. Così, purtroppo, non è. E – basandosi la pianificazione dell’emergenza vulcanica nell’area vesuviana e flegrea, sostanzialmente, sulla evacuazione preventiva di tutta la popolazione in caso di un, non meglio precisato, “allarme vulcanico” – le uniche indicazioni sul cosa concretamente fare per scongiurare il crollo degli edifici e la distruzione del tessuto urbano in caso di piogge di ceneri vulcaniche sono affidate a ben tre paginette prive di qualsiasi utilità che, non a caso, sono state ignorate dai Comuni per l’aggiornamento dei loro piani di Protezione civile.
In attesa di un Piano di emergenza vulcanica che, per l’area vesuviana e flegrea, si occupi anche della salvaguardia del tessuto urbano, accenniamo brevemente ad una proposta che periodicamente viene avanzata per la protezione degli edifici dalla pioggia di ceneri vulcaniche: la costruzione di tetti spioventi. “Soluzione” che si tira dietro una serie di problemi che la rendono impraticabile. Basti pensare alla probabilità che il volume ricavato dal tetto spiovente diventi un nuovo appartamento (con il conseguente aumento dell’esposizione a rischio) o al notevole costo o al conseguente stravolgimento architettonico e paesaggistico. È da segnalare, invece, un’altra soluzione che caratterizza alcune aree vulcaniche (ad esempio quelle del Centro America ): dotare gli edifici con il tetto piatto (la stragrande maggioranza) di semplici alloggiamenti nei quali inserire, in caso di crisi vulcanica, profilati metallici destinati a sostenere tettoie in lamiera per far scivolare le ceneri vulcaniche.
Va da sé che la realizzazione di questo sistema di mitigazione non può essere lasciata nelle sole mani del proprietario dell’immobile, il quale potrebbe essere tentato dal far scivolare la cenere sul solaio-terrazzo di un edificio contiguo. No. Questo sistema di mitigazione dovrebbe essere parte integrante di un Piano il quale, tra l’altro, dovrebbe contemplare il periodico allontanamento della cenere per, ad esempio, scongiurare l’intasamento della rete fognaria o l’insorgere di gravi malattie respiratorie (come quelle che colpirono Napoli a seguito dell’eruzione del 1906). Insomma, un Piano di Protezione civile degno di questo nome; non già un mero “Piano di evacuazione” come quello che sarà celebrato nei prossimi mesi da una “esercitazione” nell’area flegrea. Ma su questo strampalato “Piano di evacuazione” e su questa “esercitazione” ci soffermeremo presto. Continuate a seguirci.
Francesco Santoianni